LA VOCAZIONE AL TURISMO: UNA COMPETENZA TUTTA DA INVENTARE
Sabato - Agosto 4, 2012
18:07
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LA VOCAZIONE AL TURISMO: UNA COMPETENZA TUTTA DA INVENTARE
Per quanto possiamo essere tutti convinti del contrario l’Italia non è un Paese a vocazione turistica. Non bisogna confondere la naturale potenzialità ad attrarre visitatori, da considerare questa come un generoso regalo fattoci da madre natura insieme alle passate civiltà e che si manifesta con la bellezza della geografia e con l’abbondanza dei tesori artistici ma che , entrambi, sono disponibili più per grazia divina che per un nostro qualsiasi merito, con quell’attitudine speciale chiamata vocazione che è invece una qualità attiva che individua un preciso scopo, fa leva su specifiche competenze e si avvale di metodologie di azione coordinate da una visione strategica.
L’Italia avendo predisposizione naturale al turismo come regalo della sorte ma non avendo alcuna vocazione ad esercitarlo professionalmente, come richiesto dalla competizione internazionale, si comporta dunque come quegli aborigeni che , venuti in possesso di un aereo che era atterrato nella savana per mancanza di carburante, lo hanno usato per anni come pollaio, luogo di svago per i ragazzini e ricettacolo di porcherie. E’ così che, perdendo posizione su posizione, il nostro turismo si trova oggi al ventottesimo posto nel mondo come competitività – la Francia è al quarto e la Spagna al sesto – quando negli anni sessanta dello scorso secolo eravamo al quarto posto.
Da dove nasce la vocazione al turismo? Da una semplice convinzione: che non devono esistere luoghi specifici deputati al turismo sui quali concentrare investimenti e promozione in modo da renderli brillanti e attraenti, lasciando però tutto il resto del territorio nell’abbandono più totale, così ciò che si propone al turista è una specie di artificiosa immersione in posti tenuti accuratamente isolati dall’ambiente degradato che li circonda e disincentivandolo di fatto dal fare ciò che invece amerebbe fare e cioè cercare, scoprire, entrare in contatto con una realtà naturale possibilmente non repellente a causa dell’incuria prevalente.
Questa convinzione porta a pensare che non è un Paese a vocazione turistica quello che punta tutto su qualche cattedrale nel deserto ma invece quello che usa il territorio stesso come primo attrattore curando religiosamente ogni singolo metro quadrato di strada, di fiume, di verde in modo che sia restituito alla sua originaria bellezza, invogliando così a penetrarvi invece di esserne respinti per il disgusto di plastiche, bottiglie , cartacce, immondizie, odori sgradevoli che dovunque vai in Italia – in particolare al Sud – ammorbano l’aria e feriscono la vista e l’anima di chi osi penetrare nell’ambiente. Ma che razza di turismo si può pensare di attrarre da noi se non si comincia da qui? Quale cecità impedisce di vedere come veniamo giudicati all’estero riguardo a questi aspetti?
A cosa servono i suggestivi spot pubblicitari di Dustin Hoffman che recita l’Infinito di Leopardi quando le dolci colline marchigiane stanno progressivamente diventando una triste fioritura di pannelli solari e squallidissimi capannoni industriali messi qui e là così che a nessun paesino manchi il suo? Le formidabili bellezze geografiche e artistiche che ci troviamo in puro regalo, senza averne nessun merito essendocele trovate in dote, avendo invece solo demeriti per non saperle preservare, hanno bisogno, per esercitare il loro grande potenziale, prima ancora che di un marketing mistificatorio e vanaglorioso, di un ambiente generale risanato e che sia invogliante e gradevole esso stesso. Hanno bisogno inoltre di un esercito di persone competenti e motivate distribuite ovunque con l’incarico di accogliere, consigliare, guidare, raccontare. Al marketing hanno pensato, a questo no – tanto peggio per chi ci casca – e così perdiamo posizioni su posizioni.
Ecco quindi quale dovrebbe essere, se il Paese prendesse coscienza della sua potenzialità, il primo serio segnale di una autentica vocazione al turismo. Ma provate a parlare di tutto ciò con un qualsiasi Sindaco – è da qui infatti che deve partire la rivoluzione del modo di pensare più che dalle agenzie di promozione – e sentite cosa vi rispondono, quale comprensione hanno del problema. Subito dopo, in un Paese ad autentica vocazione turistica, si procederebbe lungo una strada non troppo dissimile da questa :
1- ogni Sindaco dovrebbe considerare il suo intero territorio come l’asset fondamentale del turismo – non limitandosi agli specifici punti di interesse citati nelle tradizionali guide – rimuovendo per prima cosa ogni più piccola manifestazione di degrado ambientale e di incuria, da considerare alla stregua di comportamenti lesivi dell’interesse nazionale. Dove si impara questa religione ? A Singapore, non è poi così lontano.
2- Fatto questo, nel territorio dovrebbero essere individuati e censiti tutti i punti di attenzione non canonici o convenzionali potenzialmente interessanti un turista sempre più attratto dal contatto con la natura – tipo letti di fiume da risalire, itinerari a piedi, a cavallo o in bicicletta, ecc. – mettendoli in condizione di essere comunicati e raggiunti agevolmente e quindi utilizzati in pieno benessere fisico e spirituale (cosa possibile, allo stato delle cose, solo dopo una vera e propria bonifica di mini discariche diffuse ovunque, relitti di eternit, carcasse di elettrodomestici e sanitari che occhieggiano dal verde umiliato, acque oramai fetide fin quasi dalla sorgente, ecc.).
3- I beni più propriamente artistici e culturali dovrebbero essere estratti dai dimenticati magazzini dove sono stati ri-seppelliti – destino curioso assai – e andrebbero presentati in nuovi musei gestiti secondo modalità manageriali professionalizzate (personale motivato e competente, orari certi e compatibili con le necessità dei turisti, accoglienza di livello adeguato anche nei più piccoli centri. Ancora una volta, imparare da Singapore).
4- Infine nel mondo di oggi non disporre di un unico portale Internet che in modo semplice e logico consenta l’accesso immediato a tutte le informazioni che muovono il turismo – suddiviso fino alla più minuscola località – è una cosa incomprensibile (la categoria di semplice incompetenza non è più sufficiente a definire questo disservizio). Ciò che è stato prodotto in merito da chi avrebbe dovuto risolvere il problema è imbarazzante per l’incompletezza, la difficoltà di utilizzo e per l’ammontare sgomentevole di pubblico denaro che è stato dilapidato nell’operazione fallita. Se c’è qualcuno che deve controllare si svegli dal sonno, perché pare abbia già dormito abbastanza.
Solo una volta fatte queste prime quattro mosse, compito eminentemente governativo, la palla potrebbe passare alla libera iniziativa privata che penserebbe, è il suo mestiere, a investire e riempire di attrazioni un territorio finalmente depurato dalle tossine ambientali che attualmente lo affliggono e che spingono il turista verso altri lidi. Per chi obiettasse che una filosofia come questa non possiamo permettercela perché richiederebbe troppe risorse, rispondo che il procedere sulla vecchia strada sappiamo dove ci sta portando (vedi le graduatorie internazionali e il declino sempre più accelerato).
Insomma non facciamo come quegli indigeni con l’aereo. Non dilapidiamo l’incredibile risorsa che tutto il mondo ci invidia – un mix unico di ambiente e di cultura – per ignavia e mancanza di visione. Va bene che il turismo, da solo, non può oggi sostituire la manifattura ma dobbiamo pensare al futuro quando probabilmente la dovrà sostituire per necessità. Pensiamoci finché siamo in tempo e cerchiamo finalmente di costruire in Italia una vocazione al turismo che non pensi solo al marketing e alla confezione ma anche a quello che c’è dentro.
Pepe Caglini