LA NUOVA ARISTOCRAZIA DELLE IMPRESE: COME ENTRARCI
Mercoledi - Marzo 20, 2013
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LA NUOVA ARISTOCRAZIA DELLE IMPRESE: COME ENTRARCI
L’Italia delle imprese si sta sempre più scomponendo in due tronconi. Da un lato le aziende che soffrono pesantemente la crisi, che chiudono una dopo l’altra o che stanno perdendo pezzi in modo drammatico e che vivono la situazione in un clima psicologico di abbattimento e rassegnazione. Dall’altro l’emergente nuova aristocrazia delle aziende che hanno saputo intercettare il cambiamento – che era già nell’aria da diversi anni – e che ora navigano con il vento in poppa in un mare dove i frangenti del cattivo governo e della obbrobriosa burocrazia nostrana nemmeno scalfiscono i loro scafi ben progettati e ben condotti.
Chi ha la fortuna di lavorare in queste aziende (qualche nome, solo per citare i più noti : Campari, Cucinelli, Elica, Ferrari, Ferrero, Loccioni, Luxottica, Tod’s, ecc.) non solo vive in un ambiente organizzativamente evoluto in grado di promuovere la crescita professionale e la motivazione delle persone ma può dirsi relativamente al sicuro per quanto concerne la certezza dell’impiego e può contare su incredibili premi di produzione che possono in certi casi superare anche i 7.000 euro all’anno.
Riassumendo : da una parte ansia imprenditoriale, posti a rischio, ristrettezze economiche che in aggiunta al peso burocratico stanno rendendo la situazione sempre più drammatica. Dall’altra una moderna classe produttiva già pronta – o che si sta attrezzando velocemente per esserlo – ad intercettare opportunità che devono far riflettere tutti gli imprenditori che non l’avessero già fatto.
Infatti nel decennio 2010 – 2020 si prevede una crescita del PIL mondiale del 4,5% medio all’anno. Vale a dire quanto mai successo in passato. Il fatto che questa crescita sia trainata dai Paesi del Bric (Brasile, Russia, India, Cina + vari emergenti orientali) e che riguardi solo marginalmente l’eurozona ci deve indurre ad alcune riflessioni. Seguendo il pensiero di Jim O’Nill, uno dei più accreditati economisti sulla scena, per intercettare questa ripresa le imprese italiane dovranno impegnarsi in un vero e proprio pentathlon strategico-organizzativo. Ecco le sue discipline fondamentali.
Made in Italy. Le nuove disponibilità economiche che si stanno creando dall’altra parte del mondo con l’accesso per decine di milioni di persone a consumi impensabili anche nel recente passato, stanno generando una nuova e promettente domanda per tutto ciò che è autenticamente italiano e che si propone senza compromessi come portatore della nostra migliore tradizione: design, eleganza, qualità insuperabile, innovazione.
Internazionalizzazione. Il mercato domestico sarà afflitto per anni da un mix di stagnazione e deflazione con consumi tendenzialmente in diminuzione o, nella migliore delle ipotesi, ad andamento piatto. In questo contesto l’attenzione dei responsabili commerciali italiani dovrà essere volta alla creazione di nuove relazioni internazionali con l’obbiettivo di intercettare la domanda proveniente dai mercati in crescita. Magari anche in qualità di fornitori dei maggiori player.
Organizzazione. Un’azienda che guarda alla parte più evoluta del mondo in crescita e che deve confrontarsi con partner ed interlocutori organizzativamente esigenti non può più presentarsi con un assetto interno sciatto, inefficiente, demotivato, arretrato. La nuova organizzazione dovrà anche prevedere innovative forme di partnership tra “produttori” allo scopo di creare una gamma di prodotti/servizi significativa, raggiungere una massa critica, migliorare il servizio.
Nuova mentalità nei dipendenti. La maggior parte dei lavoratori italiani, nonostante
l’imperversare della crisi, non ha ancora realmente compreso cosa sta succedendo
nel mondo e come ciò che sta succedendo può erodere la loro stessa impiegabilità. Non c’è sindacato che possa offrire una qualsiasi protezione contro questa minaccia. La sfida è passare da una cultura del “diritto al posto di lavoro” a quella del “diritto a far valere e pesare all’interno dell’azienda la propria capacità professionale, il proprio contributo e la propria iniziativa”. Una rivoluzione copernicana senza la quale le imprese non potranno affrontare il cambiamento, appesantite dallo sforzo di trainare un personale dipendente dalla mentalità troppo dipendente e conservativa.
Disciplina operativa. Questa è presente dove ogni addetto ha compreso perfettamente il suo ruolo, quello dei suoi colleghi, sa qual è l’obbiettivo da raggiungere e la posta in gioco e conseguentemente si muove in modo autonomo dando il contributo che serve quando serve. Non si raggiunge disciplina operativa se prima non è avvenuto un cambio di mentalità. Senza disciplina operativa l’output sarà sempre di scarsa qualità, troppo costoso e costituzionalmente in ritardo. Peccati troppo gravi per competere nel pentathlon della nuova economia e dei nuovi mercati.
Pepe Caglini