LA COMPETITIVITA’ DEL PAESE DIPENDE ANCHE DA TUTTI NOI
Mercoledi - Maggio 2, 2012
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LA COMPETITIVITA’ DEL PAESE DIPENDE ANCHE DA TUTTI NOI
Quando parliamo della competitività della nostra Italia e di come questa stia drammaticamente scendendo nel confronto globalizzato c’è sempre il rischio di fare discorsi troppo tecnici e di rappresentare un qualcosa la cui soluzione in fondo sembra che spetti ad altri. Sono invece convinto che questa non sia materia da tecnici e che si possa capire perché stiamo perdendo il confronto internazionale semplicemente analizzando come noi italiani ci comportiamo tutti i giorni. Di questi tempi dare le colpe di tutto ciò che sta succedendo alla politica è molto cool ma in questo modo si sposta il problema da qualche altra parte e si rinvia il momento dell’esame di coscienza che prima o poi dovremo fare. Perché non prendere in considerazione l’ipotesi che la competitività non è solo un fatto tecnico ma dipende anche da come noi tutti pensiamo, da quello che facciamo o non facciamo e da come lo facciamo? Ci proverò con alcune semplici domande.
Perché siamo sempre in ritardo? In Italia non c’è incontro, riunione, evento lavorativo o non lavorativo che non debba iniziare con qualche ritardo. Sembra che far marciare le cose in orario sia un qualcosa di vagamente esagerato, una pignoleria fuori luogo. Questo atteggiamento trasmette invece solo una scarsa considerazione nei confronti di chi vorrebbe impegnarsi, fare bene, mostrare un sincero entusiasmo. Sei uno che crede nelle cose fatte bene? Eccoti servito, fin dall’inizio, così impari.
Perché collaboriamo solo quando ci fa comodo? Lasciare la collaborazione alla spontanea iniziativa delle persone significa accettare la sua completa casualità e intermittenza. Ciò è completamente incompatibile con un mondo complesso e organizzato dove una singola piccola inadempienza a monte può causare un disastro a valle. Quindi la collaborazione non è una graziosa concessione di una persona bendisposta, è al contrario una prestazione dovuta da chiunque lavori insieme ad altre persone. Avete mai visto la collaborazione figurare a scuola come materia di studio? Ecco un’idea.
Perché non riconosciamo i meriti quando ci sono? E’ tipico delle persone per bene (e per fortuna ce ne sono tante) continuare a fare il proprio dovere anche in assenza di riconoscimenti. Ma quanta energia in più si metterebbe in moto se chi fa bene venisse considerato in base ai suoi meriti? Siamo invece arrivati ad un tale grado di degenerazione mentale che si evita di riconoscere chi fa bene per non mettere in cattiva luce chi fa male. Se all’estero ridono di noi, fanno solo bene.
Perché non siamo capaci di rispondere alla domanda esistente ? La crisi sta massacrando redditi e voglia di consumare, le vendite diminuiscono pressoché in tutti i settori. Ci si aspetterebbe che alla domanda residua (i clienti che nonostante tutto continuano a presentarsi) venisse riservato un trattamento principesco. Non si può dire che questo stia accadendo. Stessa sciatteria, stessa mancanza di senso del cliente, stesso atteggiamento facilone dei tempi di vacche grasse. Ci sarà qualcosa da rivedere in questi modi di fare ?
Perchè sul lavoro non ci attiviamo anche quando nessuno ce lo chiede? La competitività viene intaccata non solo a seguito di palesi inadempienze ed errati comportamenti ma anche semplicemente quando ci si astiene dal fare la cosa giusta nelle situazioni in cui il comportarsi in tal modo (in un modo cioè che potremmo definire omissivo) non si configura come una mancanza che possa essere sanzionabile in qualche modo. E’ la triste giaculatoria del non è compito mio, questa funebre affermazione che di questi tempi dovrebbe far rabbrividire molti capi azienda.
Perché quando ci presentiamo con un problema non portiamo con noi anche la soluzione? Uno dei segni più evidenti della caduta della capacità di lavoro degli italiani è questa progressiva trasformazione di molte organizzazioni in luoghi di regressione intellettuale e psicologica (mentre fuori dai nostri confini avviene l’esatto contrario). Luoghi dove viene considerato normale che una persona, prima di muoversi, debba ricevere l’imbeccata dall’alto, l’autorizzazione a pensare, a immaginare, a risolvere in modo autonomo, ad agire.
Perché non parliamo inglese? Con buona pace dei puristi della lingua, l’inglese è la lingua del mondo e soprattutto è la lingua della comunità scientifica e del business. Chi vive di esportazione e di internazionalizzazione (si spera e si conta che siano sempre di più in Italia) deve comunicare in inglese. Pretendere che in azienda le riunioni si tengano in inglese non è una bizzarria, è una buona idea.
Perché alle persone che lavorano non diciamo se stanno andando bene o male? La competitività si incrementa attraverso il miglioramento continuo. Una persona può migliorare solo se riceve precise indicazioni circa il suo operato da coloro che conoscono gli standard da raggiungere per poter sostenere il confronto in modo adeguato e queste persone sono (o dovrebbero essere) i dirigenti. Chiunque operi in un contesto organizzato dovrebbe capire che questi standard non sono una mania dei capi o una assurda pretesa: essi semplicemente sono posti da chi nel mondo ha imparato a fare una cosa meglio di noi. A parità di altre condizioni i clienti andranno da lui e non da noi. E’ una buona cosa ?
Perché non consolidiamo nulla e dobbiamo cominciare sempre da capo? E’ comprensibile che la gente che lavora abbia fretta. Ma questo non fermarsi mai un momento a riflettere e a sistemare bene ciò che si è costruito con fatica così da farne una solida base per il futuro è comportamento assai solido e incomprensibile. Le organizzazioni, che operando in questo modo non riescono a migliorare, sono così condannate a vivere una perenne emergenza e la cosa più triste è che se ne lamentano.
Perché permettiamo che nelle posizioni di comando finiscano persone incapaci? Vecchio insoluto problema italiano, questo della selezione della classe dirigente è la chiave di volta per dare una risposta alle dieci domande. Nella stragrande maggioranza dei casi (per fortuna non in tutti) in Italia ogni posizione di comando ospita una persona che quasi sicuramente è inadatta al compito. Il punto non è perché questo succeda: le diagnosi abbondano e sono più che circostanziate (anche se non sono servite, per ora, ad invertire la tendenza). Il punto è perché, come italiani, continuiamo a permettere questo scempio che è all’origine di tutti i nostri problemi, nella politica e nella società. Non sarebbe ora che ognuno di noi , in questo campo, cominci a fare quello che può fare nel suo pur piccolo ambito, come per esempio non tollerare oltre un comando che non sia all’altezza?
Pepe Caglini