Lunedi - Novembre 5, 2012
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Una serie di ragioni storiche e culturali ha fatto sì che lo stile di direzione nelle imprese italiane (in larghissima maggioranza unità di minime dimensioni) si presenti oggi come accentrato, monocratico, poco aperto alla discussione e meno che mai al confronto. L’imprenditore, che ha creato l’azienda, ne è l’anima, il cuore, gli occhi e spesso la mano. Tutto è concentrato nella sua mente, la storia, la conoscenza, la strategia, il futuro. I collaboratori, spesso famigliari o molto intrecciati con i famigliari, sono visti come gli esecutori della sua volontà e le carenze organizzative e comportamentali, ammesso che vengano viste, sono trattate con lo spontaneismo che di solito si riserva alle manchevolezze familiari: una sfuriata momentanea, poi tutto finisce lì. E’ tale la distanza (nella consapevolezza dell’azienda e delle sue necessità gestionali) tra questi imprenditori – che andrebbero definiti più propriamente produttori – e la cerchia delle persone che sta loro intorno che, frequentandoli, la prima cosa che viene da pensare è: ma se si ferma lui, come farà l’azienda ad andare avanti?
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